A spasso nel tempo: la moda tra le due guerre, anteprima dell’Italian Style

L’importanza di nazionalizzare la moda, fu un’idea balzata in mente a molti, ma sembrerebbe di difficile e lunga realizzazione.

Nel periodo compreso tra le due guerre, l’Italia arrancava a stento dietro la Francia, che deteneva il primato con la sua moda su tutte le riviste.
Un vago e timido tentativo di portare sul podio la creatività italiana, era già stato compiuto nel 1906 da Rosa Genoni, con il suo scritto “Per una moda italiana”.

All’indomani del primo conflitto, nel 1919, si tentò di esprimere con più chiarezza i motivi teorizzati dalla Genoni, inaugurando a Roma, in Campidoglio, il “Primo Congresso Nazionale dell’Industria del Commercio dell’Abbigliamento”, con lo scopo di liberarsi dall’assoluto dominio francese. Nel corso di questo congresso emergono le personalità più forti e coraggiose all’interno della battaglia per una moda italiana: Fortunato Albanese e Lidya De Liguro.
Il primo concretizza l’idea di nazionalità in fatto di moda attraverso un paio di conferenze sul tema: “il valore economico e sociale della moda”. Lydia De Liguoro, invece riversa tutti i suoi propositi all’interno della rivista Lidel, di cui era la fondatrice.
Sostiene senza tregua tutti i creatori italiani e lancia una campagna propagandistica contro il lusso di importazione straniera. Decisioni e iniziative, che il Duce ammirò completamente.

La moda si stava muovendo, o meglio ci si stava interessando in maniera sempre più compiuta alla moda. Negli anni 20 si diffondono in Italia i primi grandi magazzini, che ispirano sempre più alla concretizzazione e all’importanza di una moda italiana.
È il momento di scendere in campo, e di mettersi in gara con la moda francese, ufficialmente l’Italia lo fa nel 1927 con la Mostra Serica Nazionale a Como, il cui ospite d’onore era Paul Poiret.

Nel 1928, un’altra conferma: la creazione a Roma dell’Istituto Artistico Nazionale per la Moda Italiana con Fortunato Albanese come direttore tecnico; le linee direttrici erano: collegamenti professionali nel settore moda, la fondazione degli istituti principali e l’affermazione della moda italiana sui mercati esteri.
Ma ben presto, “i ruggenti anni Venti” insieme ai buoni propositi terminarono tragicamente con il crollo di Wall Street.

Sullo scorcio del decennio successivo, c’è la voglia di ricostruire e nasce una nuova moda, le cui regine incontrastate furono Chanel ed Elsa Schiapparelli.
Sostenitore di questa moda “nuova” e al tempo stesso “nazionale”, fu anche Thayaht, già nel 1919 creatore della tuta, e nel 1930 sottolineava in più articoli, il bisogno di una moda “legata intimamente col nostro paesaggio”.

In questo periodo c’è un nuovo fattore che spinge per la creazione di uno stile italiano, ed è quello economico. Presa coscienza di questo ambito, il Regime, nel dicembre 1932, costituisce l’Ente Autonomo per la Mostra Permanente Nazionale della Moda con lo scopo do organizzare un ciclo produttivo completamente in Italia.
L’Ente, appena nato, presentava ancora innumerevoli lacune: le collezioni venivano presentate troppo in ritardo, le infrastrutture adeguate erano carenti ma soprattutto mancavano risorse umane veramente istruite in fatto di moda.
Solo nel 1935 si muovono i primi passi verso un organismo più coerentemente sviluppato, l’E.A.M.P.N.M. si trasforma nell’Ente Nazionale della Moda, che ribadiva l’affermazione della moda italiana ma soprattutto il potenziamento e l’incremento dell’industria e dell’attività di moda e dell’abbigliamento o ad esse collegate.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale, blocca in un attimo piani e progetti che stavano decollando e lascia il posto alla “moda del riciclaggio”: si ripescano vecchi vestiti e si modificano.
Grazie a questo clima di emergenza, però, la creatività italiana, unita a un’antica tradizione di alto artigianato forma un mix perfetto, che darà i suoi migliori risultati all’indomani del conflitto.
L’Italian Style si prepara per la sua esplosione!