Il sogno della camera rossa

L’edizione UTET del 1980 de Il sogno della camera rossa di Ts’ao Hsüeh-Ch’in (Cao Xuequin), collana “I grandi Scrittori stranieri”, 1300 pagine, tre volumi, ha il pregio di avere l’albero genealogico della famiglia Wang e della famiglia Chia, di cui la voluminosa opera parla, però i nomi dei personaggi non sono stati tradotti come nelle più recenti edizioni e si fa molta difficoltà a seguire la storia perché parliamo di un’epopea che coinvolge più di quattrocento personaggi, di cui una trentina importanti, con nomi riportati in cinese spesso simili tra di loro. Sono 120 capitoli di cui ottanta sicuramente scritti da Ts’ao mentre sugli ultimi quaranta vi sono diversi studi che ne metterebbero in dubbio l’autenticità.

immagini di vita cinese

Un classico della letteratura cinese

Il sogno della camera rossa è uno dei quattro classici della letteratura cinese assieme a Il romanzo dei tre regni di Luo Guanzhong (1361), I briganti di Shi Nà’ān e di Luo Guanzhong (1368), e Il viaggio in Occidente di Wù Chen’gēn (1590). Il sogno della camera rossa fu pubblicato nel 1792, trent’anni dopo la morte dell’autore. Ts’ao Hsüeh-Ch’in non scrive in cinese classico bensì in cinese vernacolare mentre i dialoghi sono riportati in mandarino parlato di Pechino. Il mandarino parlato di questa opera sarà in seguito la base del cinese moderno.

La camera rossa stava a indicare l’area di una abitazione dove vivevano, separatamente dai maschi, le donne delle famiglie aristocratiche. Il personaggio principale Pao-yü all’inizio del romanzo, nel quinto capitolo, fa un sogno proprio in una camera rossa, un sogno che preannuncia il destino dei personaggi femminili del libro. Lo stesso nome della famiglia principale narrata nel romanzo, Chia, significa non vero, ingannevole. L’autore vuol fare intendere che la famiglia di cui tratta è un riflesso, una versione onirica, della sua propria famiglia.
È stato accertato che il romanzo è totalmente autobiografico. Inoltre, per spiegare il titolo del romanzo bisogna anche tenere in considerazione che nel buddismo cinese il mondo intero in cui si vive, considerato mera illusione, è definito “polvere rossa”. Tutto il romanzo è caratterizzato da una sorta di “bipolarità complementare” proprio sulla base della contrapposizione sogno e realtà. Nel corso della narrazione si contrappongono elementi che allo stesso tempo sono complementari – felicità e infelicità, maschile e femminile – il che rende il romanzo un vero e proprio labirinto anche perché alla storia principale, che è essenzialmente una storia d’amore, si intrecciano una miriade di altre trame e sottotrame il tutto tenuto insieme dalla genealogia delle famiglie Wang e Chia, descritte nel loro picco di splendore e subito dopo in una repentina decadenza.

Il protagonista è Pao-yü, rampollo della famiglia Chia, che è un ragazzo intelligente, sensibile e molto dotato nella composizione di versi. Il suo nome tradotto in italiano vuol dire Pietra Preziosa perché quando Pao-yü è nato aveva una pietra di giada in bocca.

Dipinto cinese in tempera del periodo del XVIII secolo.
Dipinto del periodo della Dinastia Qing, XVIII sec., epoca alla quale risale il romanzo di Ts’ao.

Il mondo della povere rossa

Il libro comincia con la storia di questa pietra.
Prima che l’uomo cominciasse a misurare il tempo, scoppiò una terribile battaglia tra gli dèi che causò la caduta della volta celeste. La dea della volta celeste, dopo il conflitto, ne commissionò una nuova ai suoi artigiani. Gli artigiani raccolsero 36521 blocchi di pietra per rifare il cielo; li utilizzarono tutti eccetto che una piccola e deforme pietra, che rimase da sola sulla terra a piangere per secoli. Un giorno però si presentò al cospetto della pietra una strana coppia di personaggi, un sacerdote taoista zoppo e un po’ sciroccato e un monaco buddista con la testa ricoperta di piaghe. Uno dei due prese la pietra e se la mise in tasca. Poi sia il sacerdote taoista che il monaco buddista si diressero verso il Mondo della Polvere Rossa, cioè dell’Illusione. Qui incontrano una fata, Disinganno, felicissima di accogliere i tre. Nel palazzo della fata, la Pietra conoscerà per la prima volta l’amore, incarnato da un fiore. La pietra prende a innaffiare ogni giorno il fiore con la rugiada che la notte gli pone sul corpo. Ed è proprio grazie a questa rugiada che il fiore cresce sempre più fino a trasformarsi in una fanciulla bellissima. Il fiore sa di essere in debito con il suo benefattore e non sapendo come ripagarlo chiede consiglio a Disinganno. La fata allora decide che le anime dei due si debbano incarnare in due essere umani. Fu così che poco dopo nasce Pao-yü con una giada in bocca.

Pao-yü cresce in una delle famiglie più ricche di Pechino, circondato da sorelle, cugine, domestiche, ragazze bellissime. Il padre tenta di avviarlo alla carriera letteraria, ma Pao-yü preferisce stare con le ragazze e fa le cose che fanno le ragazze. Come già detto, nel quinto capitolo del romanzo, Pao-yü fa un sogno e durante questo suo sogno la sua anima che è l’anima della Pietra torna dalla fata Disinganno. Pao-yü non ricorda niente di quando era una pietra quindi resta stupito nel vedere questa fata che lo accompagna in una stanza piena di scafali polverosi. Qui Disinganno conserva tutte le vite degli esseri umani riportando anche i loro futuri destini. Pao-yü prende uno di questi libri con il titolo “le dodici belle di Jinling” e comincia a sfogliarlo.  A questo punto risuona nell’ambiente una musica, si sente una canzone, anzi un ciclo di dodici canzoni dal titolo “Il sogno della camera rossa”.
I versi del quinto capitolo seguiranno il lettore lungo tutto il romanzo perché parlano del destino delle ragazze di Pao-yü, quelle del suo mondo, con le quali lui vuole sempre stare a dispetto del volere del padre. Tra le dodici belle vi è anche la ragazza che reincarna l’anima del fiore, Dai-you, prima cugina e amore di Pao-yü. La storia d’amore nella Polvere Rossa è quella di Pao-yü e sua cugina Dai-you, che avrà un finale tragico.

Copertine del romanzo BUR e Einaudi
Edizioni recenti del libro.

La salvezza di un’epoca

Chiunque volesse trovare in questa opera una trama secondo i parametri moderni e occidentali ne resterebbe profondamente deluso perché non era intenzione di Ts’ao Hsüeh-Ch’in scrivere una storia con una trama tradizionale, bensì salvare un mondo, il suo, come lo aveva vissuto, cosa aveva visto, gente che aveva amato. Le dodici ragazze sono vissute per davvero e le loro storie si intrecciano con quelle di decine e decine di personaggi non perché funzionali alla vicenda principale ma per il fine ultimo del libro come era stato concepito da Ts’ao Hsüeh-Ch’in e riassunto in alcuni versi che all’inizio del libro il sacerdote taoista e il monaco buddista leggono all’entrata del mondo della polvere rossa: “La verità diventa finzione quando la finzione è vera, e la realtà diventa irreale quando l’irrealtà è reale”.
Come giustamente fa notare Giuseppe Montesano nel suo Lettori selvaggi, negli anni in cui è stato scritto Il sogno della camera rossa la letteratura dell’illusione in Occidente non aveva raggiunto assolutamente questi livelli.