Il Sessantotto italiano è oggetto di studi da parte di molte discipline che, nel corso degli anni, ne hanno raccontato e analizzato i molteplici aspetti, da quello prettamente politico a quello sociale. Carlo Bianchi, esperto di popular music e addottorato presso la Facoltà di Musicologia di Pavia-Cremona, aggiunge un tassello a questo mosaico pubblicando, per la casa editrice Lim, il saggio Canzoni italiane. 1968-1978. Storia e antropologia.
L’agile volume è un’interessante analisi sul concetto di alternativo in musica e sull’evoluzione delle sette note nel decennio che vide la nascita dei movimenti del ’68 fino al 1978, anno che di fatto chiuse una stagione innovativa, lasciando dietro a sé un’eredità culturale e artistica tutt’ora viva. Anche se alcune manifestazioni si erano già registrate negli antecedenti, si può però osservare come fu proprio in quegli anni che la popular music o musica leggera (concetti sui quali si potrebbe discutere a lungo) fecero proprie le nuove istanze politiche e sociali, andando incontro a una nuova fase di sviluppo: le richieste e le esigenze di una generazione per cui i complessi (come si diceva allora) o i singoli artisti non erano più portatori di un semplice e spensierato divertimento, ma si facevano messaggeri di un impegno che si traduceva in canzoni e album che sono rimaste pietre miliari nella storia della musica.
Musica, società, religione in Italia negli anni settanta
Come ottimamente narrato dall’autore nell’ultimo capitolo del volume, questo impegno da parte di una parte dei giovani (e meno giovani) poteva anche tramutarsi in episodi spiacevoli, come il famoso “processo” inscenato da Autonomia Operaia contro il cantautore Francesco De Gregori il 2 aprile 1976 al Palalido di Milano o i disordini avvenuti nel 1977 durante durante l’esibizione di Carlos Santana, sempre nella città lombarda. Una violenza che in quella stagione era espressione di una degenerazione delle istanze migliori portate avanti pochi anni prima e che non aveva nulla a che fare con quella “violenza” poetica presente in alcune delle migliori canzoni dell’epoca, come Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè pubblicato nel 1973.
Nei quattro capitoli dedicati alle dialettiche tra musica e società, oltre a quello sulla violenza, molto interessante si rivela il primo dove l’autore dedica le pagine ad analizzare il rapporto tra popular music e cristianesimo. Un legame che i cambiamenti dentro e fuori la Chiesa modificarono, quasi rivoluzionarono, uscendo dai binari classici e riversandosi nella società. Un percorso al quale sicuramente contribuì il Concilio Vaticano II con, ad esempio con l’introduzione della popular music nella liturgia. Un rinnovamento che negli anni a seguire non sempre è stato mantenuto vivo, ma che ha comunque dato i suoi frutti, come spiega molto bene Bianchi.
Sempre nell’abito musica-cristianesimo, l’autore, tra le molteplici esperienze, cita quella di Marcello Giombini che il 27 aprile 1966 (non casualmente a pochi mesi dalla conclusione del Concilio Vaticano II) tenne La messa dei giovani o messa beat, un appuntamento che si rivelò un grande successo di pubblico. Ma furono anche altre le esperienze che cercarono di far dialogare la musica leggera e religione dando vita a “una controcultura laica interessata a un cristianesimo meno teologico e più calato nella quotidianità”. Settore nel quale, ovviamente, va inserito anche quel disco perfetto che è La buona novella di Fabrizio De Andrè del 1970 (a cui abbiamo dedicato già un articolo).
Canzoni italiane. 1968-1978. Storia e antropologia è un saggio che fornisce molteplici spunti per futuri approfondimenti sui singoli temi affrontati: l’ampia e dettagliata bibliografia fornita dall’autore può rivelarsi infatti estremamente utile per chi volesse approfondire i concetti esposti da Bianchi e comprendere quindi come la società e la storia abbiano influenzato e guidato l’arte della musica durante un decennio fondamentale per l’Italia.