Mi Fanno Male i Capelli: l’ultimo film di Roberta Torre

Nel film Mi Fanno Male i Capelli, diretto con maestria da Roberta Torre, siamo condotti attraverso un viaggio in un mondo kaleidoscopico fatto di ricordi e identità che si mescolano e si fondono in una miriade di forme e colori.

Si ha l’impressione per tutta la sua durata di assistere ad una carrellata di frammenti di un immagine. L’immagine della memoria.

L’immagine di una identità che si sfilaccia incapace di rimanere avvolta al suo nucleo.

Questa storia segue a doppio filo la vita di Monica, la protagonista e di riflesso di Monica Vitti.

Mi fanno male i capelli locandina

La protagonista interpretata con straordinaria sensibilità da Alba Rohrwacher, è una donna che si trova a lottare con la sindrome di Korsakoff, una malattia che le strappa via pezzo dopo pezzo i suoi ricordi. Inevitabile il parallelo con la Vitti affetta anche lei da una malattia neurodegenerativa.

Mi fanno male i capelli locandina

La trama del film si srotola attraverso una serie di frammenti tra film e “vita reale”, riflessi spezzati di una memoria che si sfilaccia in spazi vuoti, lasciando dietro di sé solo il nucleo di ciò che un tempo era.

La protagonista incapace di rimanere all’interno di binari lineari, quelli su cui si strutturano le vite “normali” trova conforto e identità immergendosi nei personaggi interpretati da Monica Vitti.

Si veste come lei, ripropone le scene dei suoi film e si perde nelle sue interpretazioni, cercando un rifugio dalla confusione della sua mente.

Accanto a Monica c’è Edoardo, interpretato con profonda intensità da Filippo Timi, un uomo che la ama incondizionatamente e che spera che questa sua immedesimazione nei panni di Monica Vitti possa in qualche modo salvarla dalla perdita totale di sé stessa. La loro relazione è un delicato equilibrio tra realtà e illusione, un tentativo disperato di trattenere Monica nel mondo tangibile.

Il film scorre immergendoci nelle opere cinematografiche di Monica Vitti come La Notte, L’Eclisse, Deserto Rosso e Teresa la Ladra.

Queste scheggie di cinema investono tutta la scenografia del film, perfino la palette cromatica che ricorda nei toni le immagini della memoria di Ghirri, quei luoghi sconosciuti eppure della memoria.

Queste immagini diventano i pilastri su cui si regge la realtà distorta di Monica, una realtà in cui il confine tra il reale e l’immaginario si sfuma, creando un mondo in cui è difficile distinguere i ricordi veri dalle proiezioni della sua mente.

Il film della Torre sfida le convenzioni del cinema tradizionale, rompendo gli schemi convenzionali della narrazione e sfumando i confini tra il mondo reale e quello cinematografico.

Non è un’opera didascalica, non cerca di imporre una lezione morale o di guidare lo spettatore lungo un percorso predeterminato.

Al contrario, ci presenta un mosaico di emozioni, pensieri e immagini, lasciando che lo spettatore tragga le proprie conclusioni.

Alla fine del film, ci sentiamo incompleti, come se avessimo appena sperimentato un sogno strano e affascinante del quale non possiamo decifrare completamente il significato.

L’immagine finale, i capelli di Monica, ci ricorda che non possiamo sfuggire al caos e al disordine della vita.

Ogni tentativo di controllare il nostro destino è destinato a scontrarsi con il caos che permea il nostro mondo, un caos che rispecchia la confusione nella mente di Monica e che trova un’eco nella vita di Monica Vitti.

Tuttavia, c’è una luce nel buio, una luce che ricompone tutto.

Il film ci mostra che accettare il caos e il disordine può essere liberatorio.

Attraverso la presa di coscienza, la luce diventa vivida e netta, guidandoci verso una nuova comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda.

Il caos diventa un principio guida, un’opportunità per creare nuove forme di coesistenza e accettazione.

“Importante è ricordare ma più importante è dimenticare”

Rainer Maria Rilker

Mi Fanno Male i Capelli non è solo un film, è un’esperienza sensoriale che ci spinge a riflettere sulla complessità della mente umana, sulla fragilità della memoria e sull’ineluttabilità del caos nella vita. Un’opera d’arte che ci invita a abbracciare il nostro io frammentato, a celebrare le molteplici sfaccettature della nostra identità e a trovare bellezza nel disordine.

Due piccole chicche per chiudere: la colonna sonora è di Shigeru Umebayashi (in the Mood for love). Il titolo è una battuta del film Il Deserto Rosso di Antonioni.