Matrioske curatoriali: Gli anni Cap.1 al Madre

La recensione della mostra Gli Anni. Cap.1 al MADRE di Napoli, scritta dal nostra Domenico Di Caterino.

“L’uomo lascia dietro di sé, quando abbandona la terra, non soltanto il germe della sua forma, ma una vivente immagine di se stesso. Gli spiriti della forma rimangono ormai uniti a quell’immagine; essi trasferiscono la vita che hanno emanato anche nei discendenti dell’uomo, quando l’anima umana abbandona il corpo. Si costituisce così ciò che si può chiamare ereditarietà.” Rodolf Steiner, “La scienza occulta nelle sue linee generali”, Mondadori, 2007

Quando vado al Madre di Napoli, alimento un conflitto tra la storia acquisita con i suo valori di mercato (proveniente dalla fine del millennio del passato) e l’arte contemporanea processata da giovani artisti nati dal finire degli anni novanta cresciuti senza cultura e memoria.

Il premio Piero Siena (al MADRE fino al 20 gennaio) porta a chiedermi dove vogliano andare giovani artisti e chi li legittima, con pretestuosi progetti incomprensibili per un pubblico specializzato, cosa sta succedendo nelle Accademie di Belle Arti? Sul serio al tempo di Instagram, Facebook e TikTok si può pensare a videoinstallazioni e opere concettuali a circuito chiuso come arte contemporanea?

Non giovani artisti menti algoritmiche nutrite da vecchi che con distopia ci hanno consegnato questo incubo d’alienazione sociale a occhi aperti.

Giochi cognitivi e concettuali che allontanano l’arte e i suoi processi dallo spettatore, ne ottundono la condivisione e la comprensione, fondano la loro apparenza elitaria sull’autoisolamento.

Lo scenario cambia con la mostra Gli anni Cap.1.

La collezione del Museo è stata offerta all’artista napoletano Federico Del Vecchio, come materiale di ricerca per rappresentare un percorso espositivo, in parallelo l’artista Dora Garcia che dialoga con dei documenti con i quali indaga il concetto di storia, per la quale la curatela è di Eva Fabbris.

Il percorso espositivo mi turba, pare di girare per le gallerie che da studente d’Accademie visitavo alla fine degli anni Novanta, anche se si arriva a focalizzare uno scorcio di millennio.

Mi ha emozionato rivedere uno studio optical di Ugo Rondinone, che all’epoca era fruibile solo nella galleria Raucci Santamaria (oggi a Milano), Piero Manzoni è stato un gigante della derisione, ma quanta ironia e spirito ludico tradotto in ricerca hanno perso per strada giovani artisti nel nome del suo essere diventato un pilastro fondante della storia dell’arte contemporanea?

Luciano Fabro gioca a Shangai e non so se mi diverte ma ha la giustificazione d’avere fatto la storia, il progetto di Federico Del Vecchio?

Una curatela nella curatela, confonde e fonde, la sua “chimera” curatoriale diventa un contenitore che non si distingue e disturba dall’obiettivo primario che un Museo dovrebbe prefiggersi per giustificarsi alla comunità, quello della didattica dialettica in un’ottica d’alfabetizzazione comune.

Nutro anche molto dubbi nel pensare all’artista come curatore e parte in causa espositiva, ma so bene che gli artisti della mia generazione pensano che tutto sia possibile nel nome del loro genio, artista curatore, curatore in una curatela, espositore, a questo punto perché non vendere direttamente a sé stessi il proprio lavoro e collezionarlo?

Peccato perché il lavoro di Federico Del Vecchio, col quale condivido i tempi di formazione in Accademia, è di qualità.

Si tratta di Sentimental RGB,  opera del 2024, composta da lenti graduate utilizzate come tendina, ma è arte o design d’interni in chiave di riciclo?

Tante cosette divertenti, ma per fortuna arriva un vero artista (talvolta ci sono), come Carlo Alfano, che nella Napoli negli anni Settanta, da docente di Liceo Artistico, indagava sul serio le convenzioni e le illusioni della rappresentazione: situazionismo  in free style fino a che punto è ricerca quando si ritiene d’essere artisti maturi?

Bella l’installazione di Allan Kaprow, che c’invita a scegliere su dei bidoni di petrolio, a consumare una mela vera o una plastica, una si può prelevare e portare via, tanto in certi ambienti sono entrambi contaminate, esiste sul serio la possibile scelta?

Presente la rivoluzione fotografica di Nan Goldin, che pare avere presagito la nascita dei media integrati e della foto come strumento per appuntare tutto e renderlo pubblico, con lei è nata l’idea della fotografia come un Grande Fratello privato da mostrare al pubblico.

Divertente il lavoro di Valerio Nicolai, “Sogni d’oro primitivi”, pezzo di quest’anno realizzato quest’anno, il letto diventa metafora dello studio d’artista che abbatte il confine tra sogno e razionalità, con tanto di copriletto tela dipinta.

Che dire?

Curatori e programmazioni museali, hanno abdicato alla responsabilità di focalizzare e presentare la Storia assumendosene la responsabilità dinanzi al pubblico?

Questa storia dei progetti espositivi mascherati da processi che non innescano presso la comunità (esclusa quella degli addetti ai lavori che per sopravvivere accetta tutto senza critica ferire e perire) rischia di diventare pesante per gli artisti che verranno e che in questo momento si stanno formando.

Gli anni. Capitolo 1
Episodi di storia dell’arte a Napoli dagli anni Sessanta a oggi
19.12.2024 — 19.05.2025