I Marlene Kuntz, il Parco San Laise e il ricordo di Luca

Venerdi 7 luglio al Parco San Laise nell’ex base militare nato a Bagnoli (Napoli) hanno suonato i Marlene Kuntz, in una rassegna che coprirà tutta l’estate da giugno a settembre, in uno spazio enorme dedicato alla musica, al teatro e al cinema. Un grande parco, un polmone verde nella città.

Hanno aperto il concerto i Sula Ventrebianco, band napoletana.

L’area dedicata al divertimento e alla cultura è un luogo bellissimo, prati e alberi vicino al mare e sentire nella stessa frase ex e militare è un piacere del tutto mio, come quando vedi certi conventi e monasteri e ti chiedi sempre perchè. La serata è tranquilla e non fa troppo caldo per essere a luglio, non come adesso che scrivo e grondo sudore. Ho una birra fredda nemmeno troppo annacquata e i Marlene stanno per salire sul palco.

Però, però in tutta questa perfezione ascolto note stonate e proverò a dire la mia, io che stono sempre, anche sotto la doccia. Ti giro intorno, mi giro intorno e vedo poca gente e provo indignazione, quella vera che è pure rara. Tre motivi almeno, tre di tre.

Primo: i Marlene Kuntz suonano da dio, fanno musica ad altissimi livelli da trent’anni, festeggiati da poco con un tour grandioso in doppia chiave acustica ed elettrica. Sono una signora band che ha collaborato con altrettanti grandi, hanno canzoni pazzesche come cavalli di battaglia e sono portatori sani di un sound meraviglioso e Cristiano scrive liriche altissime sempre. Partecipare a una loro festa mesta è doveroso. 

Mi piace l’idea di poter stare sotto al palco e salutare gli irriducibili come me, ma vorrei per loro il massimo, folle oceaniche e dover sgomitare per un posto migliore, arrivare ore prima per arrivare alla transenna.

Bello vedere i ragazzi del liceo, che conoscono canzoni relativamente nuove, chiedere a gran voce come solo certi fan, Paolo anima salva, meno bello vederli conoscere la scaletta scorrendo link dal cellulare, anche se qui è il vecchiaccio romantico che c’è in me che ama farsi sorprendere e riconoscere al massimo alcuni pezzi dal cambio di chitarra di Cristiano.

Secondo: questo per Napoli è stato il primo concerto senza Luca Bergia, storico batterista e anima allegra del gruppo, angolo equilatero di quel triangolo perfetto che sono i Marlene. Trent’anni di conoscenza e amicizia, non oso nemmeno immaginare. Tutti saremmo dovuti essere lì per omaggiare Luca e partecipare a quel lungo applauso che c’è stato quando Riccardo e Cristiano da soli sul palco hanno ricordato il compagno di lunga data con Nuotando nell’aria, momento emozionante, dolce, straziante, intimo, silenzioso rotto solo da qualche “bravi” di troppo (anche se mi piace immaginare che il nostro batterista del cuore ne avrebbe sorriso).

Terzo: i Marlene hanno pubblicato dopo l’ennesima torrida estate dell’anno scorso il loro dodicesimo disco in studio, Karmaclima, un concept album che parla di cambiamento climatico, dei rischi, delle conseguenze e dei probabili scenari che ci troveremo davanti forse nemmeno troppo lontano nel tempo.

Un disco necessario, urgente che nasce da ansie e preoccupazioni di tutti e per tutti e loro in quanto artisti hanno sentito il bisogno di buttare fuori attraverso un progetto lungo e articolato che li ha visti partecipare a tre residenze d’artista.

Un album che hanno sentito il dovere di suonare per intero al concerto insieme a Luca “Lagash” Saporiti al basso, Davide Arneodo e Sergio Carnevale, ex Bluvertigo alla batteria.

Hanno voluto suonare dall’inizio alla fine il disco, nessuna traccia esclusa, enfatizzando ogni singolo pezzo come dovrebbe essere sempre essere. Per loro, come ieri, anche oggi non esistono pezzi riempitivi o B side, a maggior ragione in un disco come questo che Cristiano Godano ha voluto raccontare. Toccante dal vivo l’ultima traccia, L’aria era l’anima.

Questo è un altro buon motivo per essere tutti presenti. Quello dei Marlene Kuntz è un grido d’allarme ulteriore contro lo schianto imminente che ci prestiamo a fare, una sirena, un disagio disperato suonato magnificamente.

Grazie ragazzi per tutto questo grazie, solennemente grazie, che il concerto possa pure cominciare.

Sono le 22 di un tranquillo venerdì cittadino e i Sula Ventrebianco suonano per quasi un’ora supportati dai tanti che conoscono i loro pezzi e cantano con loro accompagnati dalla batteria potente di Aldo Canditone. Una piccola pausa ristoro e sul palco ci sono loro, i Marlene Kuntz.

Il suono avvolgente, il fare suadente di Cristiano, la precisione di Riccardo, l’accoppiata basso e batteria e i suoni, i cori, le tastiere e il violino di Davide. Karmaclima è un disco diverso dai precedenti, suona nuovo. È un racconto di quello che sta succedendo, un disco che ho sentito mio e capito adesso dal vivo. Lasciandomi trascinare in un mondo purtroppo davvero poco distopico arriva Fingendo la poesia, pezzo meraviglioso che i Marlene, terminata la prima parte del concerto, suonano concedendosi al passato, con tuffi anche improbabili. E poi il buio, grandissimo pezzo tra ricordi che tornano e che lasciamo tornare, tramonti che accadono, che non accadranno più. 

Luca è con noi in maniera ineluttabile, nuotando nell’aria. Il cuore domanda, cos’è che manca, perchè si sente male, molto male, amando, amando, amandoti ancora. 

E se da un lato fingiamo la poesia, ricercando la nostra musa perduta tra le noti di un pianoforte che ricordiamo aver sfiorato Paolo Conte, dall’altro ricerchiamo come abbiamo sempre fatto, ricordando versi a memoria che un giorno o l’altro mio caro marito compagno amante e poeta Osja, amore mio ti abbraccerò così all’improvviso in un oplà mentre il suono prepotente e prorompente dei Marlene ci affascina ancora perché se e vero che cara è la fine non piangere, urla piuttosto e lasciamo di noi un ricordo toccante.

In copertina: Marlene Kuntz Napoli – foto Pietro Previti