Il tour È inutile parlare d’amore del cantautore milanese Paolo Benvegnù approda finalmente in Campania e lo fa al DSSZ – Dissonanze, un club che ricorda vagamente i locali berlinesi, pur trovandosi a Baronissi, in Campania. Forse perché si tratta di un ex capannone industriale, con un’area bar disposta in quadrato al centro del locale, con luci e immagini proiettate sulle pareti o forse semplicemente per l’atmosfera che si respira, quella della bella gente, che ha voglia di divertirsi, che ama la musica e che sa che in questo locale passano solo artisti di un certo spessore e Paolo Benvegnù è certamente tra i migliori cantautori che esistono ad oggi sulla scena musicale italiana.
Come si può parlare d’amore, di emozioni, di passione in un mondo in cui si pensa solo ad apparire e ci dimentica di essere o, peggio, di esistere? Siamo tutti lobotomizzati, con il capo chino sui cellulari attraverso cui viviamo storie vissute da altri e messe in pubblica piazza solo per qualche like in più, senza nessuna poesia, senza nessuna capacità di cogliere la bellezza negli occhi di chi ci sta di fronte, perché quegli occhi nemmeno ci guardano più.
Eppure “…Da sempre, dentro di te esiste lo stupore della prima neve e interminabili distese di fiori, la primavera che ti rende lieve e negli occhi, nei tuoi occhi l’armonia delle stelle in mezzo al mare, il canto dei bambini, la casa di chi vuol tornare…”
Benvegnù sul palco parla poco, lascia che siano le sue canzoni, la sua musica a parlare per lui, in un’atmosfera magica, davanti a un pubblico attentissimo, che muove le labbra a tempo con il nostro cantautore, perché conosce a memoria le canzoni ma non vuol urlare con violenza, no.
Perché questo è il concerto dell’ascolto, è il concerto della consapevolezza, è il concerto che ti mette di fronte a tutte quelle cose che continui ad ignorare giorno dopo giorno e che seppellisci bene dentro te, un po’ come si fa con la polvere sotto il tappeto che, seppur non la vedi, sai benissimo dov’ è.
Ma chi lo segue da tempo sa bene che Benvegnù non ci sta a nascondersi dietro il perbenismo smielato delle canzoni pop. Nel suo impeccabile completo scuro, con una band di giovanissimi alle spalle, la sua figura si staglia imponente sul palco e con tutta l’umiltà che da sempre lo caratterizza, grida a gran voce il suo no, contro l’abbrutimento di una vita che ci sta sfuggendo di mano e che stiamo lasciando inesorabilmente andare. Lo fa giocando come sempre con le parole, creando immagini suggestive ed evocative attraverso i testi delle sue canzoni, lo fa con la sua musica, a metà strada tra l’indie e il wave, tra il rock e il folk, con quello stile musicale inconfondibile, che è ormai giunto alla sua maturazione ma che non è mai uguale a se stesso ed è ancora capace di sorprendere ed emozionare.
Nessuna interruzione dunque, solo un muro di suono che arriva dritto in pancia, che viaggia sotto la pelle, che passa nelle vene e arriva dritto al cuore, che pompa al ritmo potente del basso di Luca Baldini, rincarato dalla batteria di Daniele Berioli e che si staglia di netto nei nostri padiglioni auricolari, grazie al trombone e ai sintetizzatori di Saverio Zacchei, al pianoforte del giovanissimo Tazio Aprile e alla potenza dei suoni delle chitarre di Gabriele Berioli.
È inutile parlare d’amore, eppure non si parla che di amore in tutto il disco, perché “…l’amore a volte sopravanza il sole, non lo riuscite a sentire. Non vi piacciono i sogni, forse vi piace naufragare senza nessuna dignità…”.
L’intero album è un continuo e costante invito a smuovere le coscienze, a sporgersi oltre i propri limiti, ad abbandonare i social, che poi di sociale non hanno proprio niente, e tornare ad essere oceano, a fondersi e confondersi, a mescolarsi, a vivere la vita come una grande avventura, senza allontanarsi dalla realtà. E se proprio non ci riesce di sentirci bene in questo mondo, allora che ci si provi almeno a crearne un altro che sia, seppur a suo modo, reale.
Assolutamente lontano dalle logiche dei grandi numeri da stadio, di milioni di dischi venduti, di centinaia e centinaia di ascolti su piattaforme streaming, Paolo Benvegnù ha, dalla sua, la vastità emotiva del suo pubblico, di quel pubblico che lo segue nei live, con cui entra in connessione profonda, come se non si trattasse di un concerto, quanto piuttosto di un incontro tra vecchi amici, tra anime affini, capaci di sentire il suo sentire, cosi unico e diretto.
Non ha bisogno di tante parole lui, che delle parole è padrone indiscusso, perché oltre ai suoi testi e alla sua musica, sono gli sguardi, i sorrisi, le inclinazioni della testa, che lanciano continui messaggi al suo pubblico. Sono quei piccoli gesti che fanno di un semplice uomo, un grande artista.
Non c’ è spazio per gli individualismi accanto a Benvegnù, nelle due ore di concerto si diventa un tutt’uno con i musicisti sul palco e con chi ti sta accanto e quando tutto sembra finito, quando anche l’ultimo brano sembra sia stato eseguito, eccoli tornare sul palco per accontentare quella fame di musica buona che sembra non placarsi mai.
È inutile parlare d’amore, bisogna farlo l’amore, bisogna viverlo. Bisogna toccarsi le mani, guardarsi negli occhi, stringersi in abbracci e, anche in questo, il nostro amatissimo cantautore non si nega e alla fine del concerto fa la sua apparizione, dopo un rapido cambio di abiti, per stringersi intorno al suo pubblico che ancora non è sazio delle sue parole.
E allora, stavolta, possiamo dirlo a gran voce, al DSSZ-Dissonanze, il 27 aprile ha vinto l’amore, ha vinto Paolo Benvegnù, hanno vinto tutti coloro che, fosse anche per una sola sera, hanno spento i cellulari e ascoltato le emozioni.
C’ è ancora speranza dunque, a questo mondo, fino a che ci saranno artisti capaci di toccare le corde più profonde dell’animo umano.